Il Blog di Eureka

La diffusione della cultura del caffè secondo Andrea Antonelli

Scritto da Il team di Eureka | 22-set-2020 7.16.20

Attenzione alla macinatura, approccio meno frenetico e diffusione della cultura del caffè saranno i nuovi must per i baristi che con la riapertura post pandemia si trovano davanti a una sfida epocale, "trasformare il rito del caffè in esperienza del gusto". Ce ne parla Andrea Antonelli, grande esperto di caffè e campione di creatività.

Antonelli si è formato nelle scuole di Caffetteria Italiana e ha lavorato in Italia e all'estero fin dal 1999. Grazie ai molteplici corsi di formazione, oltre che alle proprie capacità, nel 2006 diventa Campione Italiano Baristi Caffetteria, dopodiché successivi aggiornamenti e studi lo portano a confermarsi Campione Italiano di Latte Art SCAE per quattro anni consecutivi, dal 2008 al 2011. Attualmente è CEO della Street Coffee School e responsabile per la formazione di puly CAFF.

Andrea, dove hai assaggiato il miglior caffè? E quale è oggi la nuova frontiera del settore?

C'è molta attenzione alla trasformazione del caffè negli stati del Nord Europa, Asia, Australia... dove, guarda caso, il consumo pro capite è molto più alto rispetto al nostro. Me lo spiego così: il prodotto finale nel Nord Europa ha un prezzo maggiore, e di conseguenza viene posta una grande attenzione durante tutta la filiera e in particolare nel caffè filtro, che richiede una qualità della materia prima assolutamente eccelsa.

Il caffè perfetto secondo te?

L'origine che preferisco è quella degli "Etiopia naturali" sia in espresso sia a filtro, per la grande complessità del chicco e per la riconoscibilità. Amo i caffè che hanno avuto una lavorazione naturale, con la drupa raccolta in giornata e messa a essiccare al sole. In generale preferisco i caffè dolci, con sentori di frutti rossi.

 

 

Il ruolo del barista nella ripartenza

L’esperienza di un buon caffè passa anche attraverso la professionalità del barista che lo prepara, una competenza tradotta nelle attrezzatture che utilizza e nella loro manutenzione periodica, come strumenti da oliare prima di un gran concerto.

Tutto questo è cultura del caffè, importante già prima nello svolgimento delle attività dietro al bancone, centrale da domani per il rilancio di una categoria professionale così importante.

Quale ruolo vedi per il barista di domani?

Il ruolo del barista, oggi come nell'immediato futuro, è quello di saper fare cultura del caffè. Il barista che farà la differenza sarà colui che cercherà di informarsi sui caffè che sta utilizzando, che riuscirà a estrarli attraverso le attrezzature migliori, e che avrà una cura maniacale della pulizia dei macchinari e di tutti quei fattori che portano a offrire un caffè ottimale dal punto di vista della qualità. In generale il barista sarà una persona che ha studiato e che saprà riconoscere bene la materia con cui lavora. Bisogna far condividere al consumatore il concetto che la qualità che si sta proponendo merita un prezzo adeguato.

 

 

Quali sono gli elementi fondamentali da cui può iniziare il proprio percorso di qualità?

Sicuramente dalla macinatura. È l'inizio della trasformazione del chicco, la base più importante del caffè, insieme alla qualità dell'acqua che viene utilizzata. Se calibrati in maniera perfetta, questi due elementi, già da soli, fanno la differenza. La pulizia del macinacaffè e della macchina, a livello tecnico, rappresenta a mio parere il vero lavoro del barista.

Se la macinatura è la base da cui partire, come sceglieresti il macinacaffè ideale?

Parto sempre dal presupposto che il caffè non è tutto uguale. Ci sono caffè più "fragili", più "duri", differenti livelli di tostatura, ecc... e poi ci sono differente granulometrie, per l'espresso, per la moka o per il filtro. Non posso scegliere un macinacaffè che vada bene per tutto. Il consiglio è quello di centrare il "core business" del proprio locale e dotarsi di macinacaffè dedicati a diverse tipologie.

Un macinadosatore di qualità è sicuramente la macchina che durante la lavorazione minimizza il riscaldamento; che macina esclusivamente on demand, cioè nel momento del bisogno, e che sprechi il meno possibile. Pur nella massima velocità, il macinadosatore non deve produrre sprechi e deve essere assolutamente il più silenzioso possibile.

Altrimenti, è un po' come se uno chef non avesse i coltelli o le giuste pentole adatte a preparare i singoli piatti. Mi dispiace notare che purtroppo, ancora oggi, la maggior parte delle caffetterie italiane non utilizza macinadosatori "on demand". Il rischio è quello di rovinare una materia prima preziosa e costosissima.

 

 

Gli aspetti critici della caffetteria italiana

Se andiamo oltre la realtà del singolo coffee shop e ampliamo il nostro sguardo alla caffetteria italiana nel suo complesso siamo in grado di evidenziare alcuni aspetti critici di questo sistema, parti in causa nella mancata diffusione di una cultura del caffè sempre più necessaria. Una discussione sul prezzo medio dell’espresso italiano conclude la chiacchierata con Andrea, con un ultimo passaggio sul post Covid nei bar.

Andrea, ci puoi tracciare il quadro della caffetteria in Italia? Quali sono i pregi e i difetti?

Potremmo partire provando a disegnare una panoramica del periodo pre Covid, anche perché da qui in avanti il mondo del caffè subirà giocoforza un'evoluzione di grande portata. In Italia, la situazione è per certi aspetti acerba, e per altri già matura. Mi spiego meglio. Ci troviamo all’interno di uno scenario in cui la stragrande maggioranza dei consumatori non è ancora sufficientemente informata sulla qualità del caffè che sta bevendo, con piccole realtà di eccellenza sporadiche e isolate, rari esempi di cultura del caffè sul territorio. Una condizione che si riflette nel prezzo medio della tazzina italiana, estremamente basso rispetto a quanto succede nel resto del mondo, senza tener conto della qualità di quanto si va a servire, né dei costi reali di produzione sostenuti a tutti i livelli dell’intera filiera.

 

 

Quanto dovrebbe costare un caffè? E perché?

Il mondo dei bar lavora in un contesto che non riesce a premiare la qualità. Se pensiamo che negli ultimi quindici anni il prezzo di un caffè è stabile, intorno a un euro, e che nel frattempo le materie prime e i costi di gestione sono aumentati enormemente per fattori esogeni come i trasporti, l'energia, gli affitti, ecc... non possiamo non trarre delle conclusioni. È un mercato "sovra maturo" che per forza di cose si dovrà adeguare al mercato internazionale dove i prezzi sono più remunerativi. In Italia, siamo "condannati" alla logica del caffè a prezzo "imposto", che non tiene conto cioè dei costi effettivi. E a perderne è la qualità e la sopravvivenza di chi lo vende.

In Italia esistono circa settecento torrefattori di media grandezza. La forza del torrefattore, il suo vero servizio, ai giorni nostri dovrebbe essere quello di comunicare al cliente tutte le informazioni della filiera, in maniera completa, un processo necessariamente lungo e costoso. Io penso che un caffè, di base, dovrebbe costare non meno di due euro. Un calcolo ottenuto dalla quantità di tazzine che vengono estratte tutti i giorni, rapportato ai costi delle attrezzature e della manodopera del barista.

Mesi di stop per l'emergenza Covid. Da dove si riparte?

Si dovrà ripartire da un buon espresso. Il barista ora ha il tempo d fare tutto. Nei locali non ci sono code, non c'è ressa, per cui ogni operazione di igiene che garantisce la qualità si può fare in tutta tranquillità. Non ci sono più alibi. E c'è anche il tempo di spiegare tutte le caratteristiche delle proprie scelte al cliente. Ci sarà un approccio più attento e rilassato, sia per il barista sia per il cliente, grazie all’allungarsi medio dei tempi di consumo, con la tazza sempre più protagonista dell’intera esperienza, e i riflettori finalmente puntati sulla sua necessaria qualità.