Come avviene la tostatura del caffè? E’ un’altra domanda ad aprire questo terzo nostr
o itinerario, per rispondere alla quale approfondiremo le professionalità e le competenze che intervengono in questo fondamentale passaggio, nel corso del quale il nostro chicco di caffè….diventa grande!
Dalla piantagione ai paesi importatori
Il caffè verde, chiamato anche crudo, viene esportato dai paesi produttori ed importato praticamente da tutto il mondo, dato che non esistono nazioni produttrici di caffè che ne producono abbastanza per il loro consumo, e devono quindi a loro volta rivolgersi all’importazione da altri paesi.
I paesi europei importano circa la metà della produzione mondiale, mentre gli Stati Uniti da soli sono i destinatari di circa un quarto dell’intera produzione, classificandosi così quali maggiori importatori mondiali. La medaglia d’oro per il maggior consumo pro capite va invece alla Finlandia, ormai da diversi anni in vetta a questa speciale classifica con un importante 9.6 kg annuo a persona (pari a 2.64 cups/al giorno), seguita dalle vicine nazioni scandinave.
Ogni anno vengono venduti oltre 150 milioni di sacchi di caffè verde (da 60kg), e sono oltre 100 milioni le persone che traggono profitto dal caffè, dal produttore che si prende cura della pianta, al barista, che ogni giorno apre la sua caffetteria.
Tra queste due figure troviamo diversi personaggi: mercanti locali, importatori, broker, torrefattori, distributori, costruttori di macchine da caffè, tecnici specializzati, trainer formatori e molti altri, che vanno ad arricchire e valorizzare la lunga e complessa filiera del caffè.
Le torrefazioni solitamente acquistano il crudo da importatori che garantiscono un determinato quantitativo sempre disponibile durante l’intero anno, avendo possibilità di stoccaggio; altri invece preferiscono rapportarsi direttamente con il produttore (un trend questo sempre più diffuso tra i piccoli roaster). In questo modo si assiste alla nascita di un forte legame tra produttore e torrefattore, con il roaster stesso che spesso, in prima persona, va a verificare in piantagione, contratta il prezzo e discute sulla qualità del raccolto.
Sfortunatamente poi il costo del caffè segue le regole ed i principi che vanno a determinare il mercato di qualsiasi merce, con la fluttuazione tra domanda e offerta a prevalere sulla qualità del prodotto. Si aggiungono poi scarsi raccolti, conseguenza tanto di cause naturali (quali avvenimenti climatici o malattie) quanto dell’instabilità a volte congenita che caratterizza i governi e le economie della maggior parte dei paesi produttori, a flettere un mercato del caffè già di per sé molto incerto.
Il caffè verde, anche se di alta qualità, è in generale un prodotto caratterizzato da un aroma molto debole e per di più sgradevole da un punto di vista organolettico. Le qualità che conferiscono al caffè un gusto e un aroma piacevoli infatti, sopraggiungono con i cambiamenti subiti dal chicco durante il processo di tostatura.
Per spiegare al meglio come avviene la tostatura del caffè, dobbiamo definire il significato di questa fase di lavorazione: la tostatura non è altro che la cottura, a secco, del chicco crudo di caffè, in modo da trasformare, tramite reazioni chimiche, le sostanze organiche presenti (oltre 800 composti responsabili dell’aroma) ed indurre quei cambiamenti fisici che rendono possibile la loro estrazione. Si tratta di un processo dall’origine secolare, ovviamente, ma che negli ultimi anni è diventato altamente studiato e sofisticato.
Le tecnologie e le ricerche scientifiche vengono in aiuto al torrefattore, una figura professionale in grado di determinare la qualità del caffè tostato alla luce dell’esperienza e del livello di competenza con i quali qualifica la propria attività.
L’attività del roaster si riassume nella rivelazione, mediante la tostatura, di tutte quelle potenzialità aromatiche di cui le diverse varietà e provenienze dei chicchi sono biologicamente portatrici, garantendo la capacità di ripetere la stessa ‘cottura’ per ogni tostata, grazie ad una competenza ed una capacità del mestiere fondamentali.
Innanzitutto deve avere una buona conoscenza della natura di tutti i tipi di varietà che ha tra le mani e di come questi rispondono al calore: si può così paragonare il torrefattore ad uno chef, in quanto tempi e temperature di cottura cibi sono fondamentali tanto in cucina quanto nella torrefazione, dove a chicchi diversi corrispondono necessità diverse. Poiché, sebbene tutti i chicchi di caffè sembrino tra loro uguali, oltre al differente metodo di lavorazione dopo il raccolto essi rivelano anche diverse dimensioni, densità ed umidità, particolari che richiedono spesso attenzioni tra loro esclusive.
Altra abilità del tostatore dev’essere l’assaggio, strumento necessario per riconoscere la qualità delle materie prime e la professionalità del lavoro svolto. Il cupping, ovvero l’assaggio del caffè, è una costante del dopo tostatura, in quanto è anche il modo migliore per definire al meglio le percentuali dei caffè da miscelare. Si può così definire la miscela come l’espressione artistica del tostatore, esclusivamente sviluppata da questi secondo il suo soggettivo piacere.
Comunemente, sono light, medium e dark le tre tonalità di colore mediante i quali si classifica il caffè tostato, sebbene al loro interno esistano nomi alternativi che vanno ad articolare in sezioni più precise le gradazioni di colore possibili. Queste suddivisioni sono possibili grazie all’uso del colorimetro, un apparecchio che permette di ‘misurare’ un colore, cioè di rivelare la percentuale con la quale in esso sono presenti le tre tinte fondamentali (giallo, rosso e blu) che creano tutta la gamma possibile delle sfumature. Il colorimetro confronta l’intensità luminosa del campione con una scala prestabilita.
I chicchi light roasted si presentano più opachi e leggermente rugosi rispetto ai chicchi dark roasted, che invece hanno una superficie più tonda, gonfia e lucida. La causa è data dalla struttura più chiusa del chicco light, una struttura cellulare non troppo espansa all’interno della quale gli olii aromatici, formati durante la tostatura, rimangono intrappolati: il chicco dark roasted presenta invece una struttura più aperta e ‘spugnosa’, il che favorisce una più rapida migrazione degli olii in superficie.
‘Più chiara è la tostatura e più acidità sarà presente in tazza’ è una regola generale che ben si bilancia con ‘tostatura più scura, meno presenza di acidità’
suo naturale alter ego: all’interno di questi due estremi c’è un mondo di bilanciamenti e percentuali che si traduce nelle nostre tazze, eterno alternare tra il dolce e l’amaro.
In conclusione poi, si può dire che il light roast mantiene sapori e note più inerenti alla natura del chicco, mentre più scuro è il tostato più abbiamo aromi derivanti dai processi chimici (come la caramelizzazione degli zuccheri) e dalle reazioni endotermiche della tostatura.
La macchina torrefattrice è il cuore dell’impianto di torrefazione. Ne esistono di diverse grandezze, con una ampiezza di intervento da pochi chili fino ad alcune centinaia, altamente computerizzate oppure completamente manuali…proviamo ad approfondire il discorso!
Iniziamo con una classificazione introduttiva delle tre tecniche principali di tostatura:
Il raffreddamento è fondamentale al termine del processo di tostatura, e deve avvenire il più rapidamente possibile! Questo per evitare che, a causa delle reazioni esotermiche in atto, il grado di tostatura superi quello desiderato: posta in altri termini, bisogna evitare che il tostato, in conseguenza dello scambio di calore sempre attivo tra chicco e chicco, continui la sua cottura.
La refrigerazione avviene in una grande vasca all’interno della quale i chicchi sono meccanicamente tenuti in movimento: grazie ad una grande quantità di aria fredda liberata sul tostato si ritorna in pochi minuti alla temperatura ambiente, dai circa 180° gradi ai quali i chicchi si trovavano precedentemente.
Il caffè appena torrefatto ha bisogno poi di un periodo di ‘degasamento’. Le reazioni chimiche conseguenti alla tostatura producono infatti molta CO2, e questa si trova, al termine del processo, intrappolata dentro al chicco: la sua fuoriuscita si prolunga fino a due settimane dalla conclusione della tostatura, un processo (la cui velocità è inversamente proporzionale rispetto al tempo occorso per la tostatura) al termine del quale si ha una perdita di peso di circa 1,5% di quello iniziale.