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Da che cosa dipende il sapore del caffè?

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Eravamo alla ricerca di una risposta quando abbiamo iniziato il nostro viaggio intorno alla drupa di caffè, e una risposta si va sempre più delineando nel corso di queste pagine, che hanno accompagnato il chicco di caffè in quel lungo e fascinoso percorso ricco di tradizioni e cultura, di racconti e paesaggi che lo porta dalla sua piantagione alla nostra tazzina.

All’interno di questo ultimo articolo analizziamo allora l’ultimo fattore in ordine temporale, ma non meno importante, che influenza l’intensità e la qualità del nostro caffè in tazza, in modo da approfondire e capire da cosa dipende il sapore del caffè in ogni sua sfaccettatura.

Un po’ di chimica per iniziare

Gli acidi e le basi appartengono a due classi di composti chimici che presentano alcune proprietà tra loro completamente opposte. Gli acidi hanno un sapore prevalentemente aspro, conferiscono alle cartine al tornasole una colorazione rossa e a contatto con quasi tutti i metalli reagiscono liberando idrogeno allo stato gassoso; le basi hanno invece un sapore amaro, danno al tornasole una colorazione blu e sono viscide al tatto.

Mescolando soluzioni acquose di un acido e di una base, si sviluppa una reazione detta di neutralizzazione, che ha la caratteristica di produrre un sale ed H2O: un esempio di quanto appena detto è acido cloridrico + idrossido di sodio acqua + cloruro di sodio.

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Questa breve introduzione chimica trova spiegazione nelle decine di acidi presenti in ogni chicco di caffè: il principale di essi è l’acido clorogenico, che se si riduce di circa il 30% in una tostatura light (chiara) svanisce fino a quasi il 98% del totale in una tostatura dark (scura). Altri acidi ridotti durante la tostatura sono l’acido citrico e quello malico, mentre invece, all’opposto, aumentano la propria percentuale l’acido chinico e quello acetico.

L’importanza dell’acidità per un buon caffè

Il bilanciamento degli acidi dalle componenti amare e degli acidi dalle componenti dolci è la vera arte della tostatura: differenti chicchi hanno diversi livelli di composti per cui rispondono diversamente al processo di tostatura (il che esclude la possibilità di una formula fissa da seguire).

Il bilanciamento finale che ogni tostatore segue è il risultato di svariati tentativi, errori, assaggi e gusto personale, il tutto condito da una miscellanea di esperimenti tra diverse temperature, diverse tempistiche e appunti di lavoro.

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Quando nella tazza di caffè non c’è acidità risulta piatta e ‘monotona’, senza carattere: paragonata ad una tazza invece correttamente bilanciata, si vive la stessa differenza che si prova sorseggiando l’ultimo bicchiere di una bottiglia di plastica oppure un sorso d’acqua fresca di fonte.

Un giusto livello di acidità infatti, riesce a donare alla bevanda quella brillantezza e dolcezza che sono caratteristiche della frutta matura: niente a che fare con asprezza ed astringenza.

Ecco perché non si deve mai fare l’errore di confondere acidità ed asprezza: tanto positiva è essere la prima quanto negativa risulta sempre l’altra!

Come avviene il confezionamento del caffè?

Una volta definito il livello di acidità, un altro fattore da cui dipende il sapore del caffè è sicuramente il suo confezionamento e la sua conservazione.

Anche se a molti potrà sembrare un paradosso, proprio alla luce del processo di ‘degasamento’, che avviene al termine della torrefazione del caffè, non è consigliato confezionarlo direttamente subito dopo la tostatura: l’anidride carbonica in fuoriuscita può infatti formare una pressione all’interno della confezione che può comprometterne l’ermeticità, e quindi la sua corretta conservazione.

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Ma anche procedere solo alla conclusione del ‘degasamento’ è altrettanto rischioso, in quanto i chicchi di caffè potrebbero rimanere esposti all’ossigeno troppo a lungo (l’ossigeno ha infatti effetti immediati di ossidazione e deterioramento), con conseguenze nefaste sulla qualità della tazza di caffè finale.

Ecco perché la maggior parte delle moderne tecnologie di confezionamento ha proposto diverse soluzioni per l’imballaggio, proprio per permettere all’anidride carbonica di uscire ed impedire, allo stesso tempo, che l’ossigeno entri a contatto con il caffè tostato.

Il confezionamento adottato dalla maggior parte delle torrefazioni è il sacchetto in polimero d’alluminio multistrato con valvola unidirezionale: questa soluzione permette la perfezione dell’imballaggio durante il ‘degasamento’ (solitamente a qualche giorno di distanza dal termine della tostatura, quando la maggior parte della CO2 è già fuoriuscita), con la suddetta valvola a fare da membrana tra l’anidride carbonica in uscita e l’ossigeno che rischierebbe di entrare.

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Per aumentare la shelf-life del prodotto, ovvero quel periodo durante il quale le qualità del confezionato si mantengono inalterate senza per questo dover ricorrere a particolari accorgimenti, al momento del packaging si può sostituire l’aria all’interno del sacchetto (visto che l’aria è composta dal 20,95% di ossigeno) con azoto.

Anche soluzioni più costose sono adottate per rallentare il più possibile il deterioramento del caffè come, ad esempio, l’utilizzo di barattoli in latta stagnata provvisti di valvole di sicurezza, da conservarsi in un ambiente completamente ermetico.

Nella continua sperimentazione di materiali ecologici e più preformanti, l’industria dell’imballaggio è costantemente al lavoro per lo sviluppo dell’imballaggio perfetto: totalmente resistente all’umidità, all’aria ed alla luce, chimicamente inerte così da evitare l’ossidazione, di composizione biodegradabile, dal costo non elevato e comunque robusto.

Un lungo processo per arrivare al giusto sapore

“Una catena è forte soltanto quanto il suo anello più debole” 
è una frase spesso abusata nel business world, ma mai come nel nostro caso sembra riuscire a descrivere con così tanta fedeltà il lungo viaggio del caffè che volge così a conclusione.

Qualsiasi debolezza o fragilità si riveli infatti durante il suo percorso, tanto durante la selezione del chicco verde, quanto nel corso della tostatura (over/under roasted) o nel bilanciamento della miscelazione, impatta negativamente sul risultato finale.

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Quindi, da che cosa dipende il sapore il del caffè? Il chicco di caffè passa attraverso molteplici mani, e ognuna di queste partecipa a determinare il risultato nelle nostre tazze, prima ancora dell’intervento del barista! Questi infatti non è che l’ultimo anello per le cui mani passa il caffè prima di finire in tazzina, ma questa è un’altra storia…

Trova così conclusione l’affascinante viaggio che abbiamo percorso al fianco del chicco di caffè, dalle grandi e smisurate piantagioni fino al fondo della nostra tazzina.

Un percorso in cui ci siamo avvolti nei profumi e nei sapori delle terre in cui la Coffea cresce e si sviluppa, per poi assistere a quelle tecniche e a quegli insegnamenti che caratterizzano l’impegno quotidiano tanto del coltivatore quanto del torrefattore, in un concentrato di esperienza e abilità che accompagna ogni passaggio di questa lunga catena della caffeina, dandole ancora, se possibile, più gusto e sapore.

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