Il punto di vista di uno dei tanti «cervelli in fuga» nostrani, Massimo Santoro, barista e "coffee coach" della provincia pistoiese da molti anni in Francia: emergono i contorni di un movimento del caffè a tratti distante da quello italiano, dove la qualità in tazza sta avendo più facilità ad affermarsi, e gli «specialty coffee» sono sempre più protagonisti.
Ho cominciato, come tanti baristi in Italia, dalle discoteche e dai cocktail bar, fino all'incontro con Andrea Lattuada, che considero uno dei massimi precursori del caffè di qualità in Italia. Andrea è famoso come trainer e formatore, con la sua scuola "9 Bar" (il cui nome deriva dalla pressione della macchina da caffè, ndr.), ed è lui ad avermi trasmesso la passione per il caffè. Nel 2011 sono partito dall’Italia, ho viaggiato e lavorato come barista in vari paesi Europei. Ho deciso di fermarmi in Francia all’inizio del 2015 e la mia carriera d'Oltralpe è cominciata a Parigi, al grand hotel "Gran Pigàl Hotel", in qualità di capo barista. Mi sono poi spostato a Marsiglia, reclutato da una scuola di formazione per baristi e bartender: è da qui che successivamente mi sono lanciato nel mondo delle competizioni. Il mio percorso in questo settore è un po' quello di una bella storia d'amore.
La mia prima competizione é stata nel 2017, quando mi sono classificato terzo alla "World Barista Championship France" (WBC). Questo piazzamento mi ha molto soddisfatto e mi ha permesso di credere ancora di più in me stesso. L’anno successivo ci ho riprovato, ma con un obiettivo molto più grande: la vittoria del campionato francese baristi, che sono riuscito ad ottenere! Tempo qualche mese e mi sono trasferito a Bordeaux, alle prese con una nuova sfida lavorativa che continua ancora oggi: sono infatti il felice responsabile della formazione di «MaxiCoffee», la mia splendida famiglia d’oltralpe.
Per stare dietro al bancone di un bar la formazione diventa sempre più un aspetto centrale, un processo continuo di crescita e di educazione che spazia dalle competenze più tecniche alle qualità invece più propriamente empatiche. Senza trascurare poi l’offerta del caffè, quanto più varia possibile tra specialty coffee e blend più variegati, e l’assistenza di una strumentazione adeguata, sempre al passo con i tempi dello stato dell’arte tecnologico del settore.
Come dico sempre ai miei studenti, un bravo barista è il giusto mix di tre caratteristiche fondamentali: la tecnica, la professionalità e soprattutto il gusto della giusta accoglienza. Deve essere un professionista formato a livello tecnico, conoscere bene la materia prima con cui lavora, e saper parlare del caffè come fa un sommelier con il vino. Rapidità, organizzazione e passione sono infatti caratteristiche fondamentali, troppo spesso trascurate. Ma il vero segreto è il sorriso, il saper stare a contatto con il pubblico, il lato umano: saper ascoltare, comunicare e consigliare al meglio i propri clienti è la vera chiave di un mestiere come questo, e il sorriso e l’ingrediente speciale, che non deve mancare mai.
Senza dubbio differenziare la propria offerta. In un bar, un barista dovrebbe essere sempre in grado di offrire un caffè più particolare, di qualità, da affiancare al suo blend di base. Il cliente abituato negli anni a caffè "amari", in questo modo potrà essere incuriosito e quindi condotto verso un livello qualitativamente più alto e una maggiore consapevolezza. Certo, la "nuova" bevanda all'inizio magari risulterà un'esperienza sensoriale che potremmo definire "destabilizzante", ma sicuramente avrà un impatto sul consumatore, che potrà riflettere e magari tornare per degustarne altri in un secondo momento Non bisogna poi sottovalutare la scelta dei macchinari. Un macinacaffé che riesce a garantire una granulometria omogenea, silenzioso e in grado di offrire una dose regolare a ogni estrazione eliminando gli sprechi fa davvero la differenza nel nostro lavoro.
Negli ultimi anni si sono fatti passi da gigante in questo senso. La macinatura ha un ruolo primario per la buona riuscita della tazza. Mi spiego meglio: senza una granulometria omogenea non possiamo avere un caffè equilibrato, perché la forma e le dimensioni del particolato saranno differenti. Ecco perché alla scuola dove insegno ho fatto in modo di avere a disposizione i migliori macchinari. Lavoro molto sugli aspetti tecnici, capire i pro e i contro di ogni macinino, spiegare bene i plus delle macchine e capire perché alcune di esse hanno un costo e una prestazione diversi rispetto alle altre.
Approfittiamo del punto di osservazione privilegiato di Massimo e spingiamo il nostro sguardo alla caffetteria francese nel suo insieme, evidenziandone alcuni aspetti positivi, come la recente rapida ascesa degli specialty coffee, e il dibattito in corso sul prezzo medio dell’espresso, ingredienti di un settore dove la qualità è sempre più centrale.
Il quadro della caffetteria in Francia è molto positivo. Rispetto a 5 anni fa il caffè ha avuto un'evoluzione incredibile, specie nelle metropoli. Gestendo una scuola di formazione ho l'opportunità di osservare il settore da vicino e vedo che i ristoranti, i bar e gli hotel hanno capito l'importanza di servire ai loro clienti una tazza di caffè di qualità superiore. In Francia, nelle grandi città, si stanno affermando i coffee shop specializzati, che lavorano con estrazioni che potremmo definire alternative (che vanno sotto il nome di "slow coffee"): V60, Chemex, French Press, estrazioni che non ricorrono al beneficio della pressione a pompa ma estraggono in maniera più naturale. Il risultato è una bevanda che contiene più caffeina, particolarmente adatta per la prima parte della giornata. Ecco, lo "slow coffee" a mio parere valorizza ed esalta tutti gli elementi aromatici del caffè, dove invece l'Espresso, seppur più diffuso, focalizza di più singoli colori e aromi della materia prima. Insomma, quando il cliente dice voglio un caffè, non è poi così banale e facile rispondere per chi sta dietro al bancone: ed è qui che entra in gioco la capacità umana e relazionale del barista, oltre che la sua formazione.
Il mercato italiano è differente da quello francese, dove i consumatori sono disposti a pagare un po' di più al netto di una maggiore qualità. Oggi il prezzo medio di un espresso d’oltralpe si attesta tra 1,50 e 2 euro, e nelle grandi città, come Parigi, si può arrivare anche a tre euro. L'apertura dei coffee shop specializzati ha ampliato notevolmente l'offerta, specie negli ultimi cinque anni.
Concludiamo la nostra chiacchierata con un paio di domande al barista-coffee lover, chiedendo a Massimo di raccontarci le fragranze e gli aromi che più gli fanno battere il cuore.
Quello che mi ha colpito di più è un caffè che ho utilizzato per il campionato baristi nel 2018. Una varietà Villa Lobos del Costa Rica, trattata con un metodo naturale, poi congelata per una notte e quindi lasciata a essiccare per tre settimane fino ad arrivare a un'umidità del 12%. Lo shock termico permette al chicco di caffè di assorbire più zuccheri, diventando così naturalmente dolce, con fantastici aromi di ciliegia e cioccolato fondente. Al momento sto portando avanti delle sperimentazioni su una single origin di una varietà molto pregiata, ma è ancora un segreto, che presenterò al prossimo concorso internazionale.
Penso che il caffè perfetto non esista. Ogni persona ha un’esperienza sensoriale differente dagli altri, risultato di culture e abitudini diverse. Il caffè che io preferisco e che penso che possa mettere d’accordo molta gente, è una tazza mediamente acida, con una dolcezza intensa e amarezza molto bassa. Per ottenere caffè simili consiglio sempre di tenere sotto controllo alcuni aspetti della materia prima facilmente interrogabili. Tra questi l'altitudine delle coltivazioni, prediligendo quelli coltivati sopra i 1600 metri (visto che più il caffè viene coltivato in alto e più sviluppa acidità), ma anche la qualità del trattamento e dello stoccaggio, davvero in grado di fare la differenza. Conoscere il produttore e il torrefattore è poi fondamentale. Ecco, il barista deve essere un professionista formato in tutti questi aspetti, perché è l'anello fondamentale della filiera. Basti pensare che in soli 30 secondi, il tempo di un'estrazione, si può rovinare un prodotto unico frutto del lavoro di decine di persone.